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Centro storico e periferia: l'identità urbana



A fronte della progressiva perdita della funzione residenziale e dell'invecchiamento dei residenti, il centro storico mantiene intatta la sua centralità nella vita sociale e culturale della città.
La città diffusa, che si è realizzata a Bologna come in altri grandi sistemi urbani, accoglie gran parte delle famiglie giovani e si è sviluppata su una rete di comuni minori, che sono cresciuti enormemente senza che all'aumento della popolazione corrispondesse un'adeguata trasformazione in senso urbano.
I sobborghi, che raccolgono gran parte della popolazione, sono città prive di tessuto urbano: la possibilità di vivere una dimensione sociale urbana è subordinata alle capacità individuali di raggiungere le aree centrali della città.
Alla perifericità fisica corrisponde di fatto una marginalità sociale di queste aree, che peraltro accolgono strutture produttive e manodopera indispensabili al benessere della città.

L'orgoglio del sobborgo

Dove esisteva un'identità di luogo precedente il coinvolgimento nell'espansione urbana, si riscontra spesso un rinnovato vigore nella rivendicazione della propria individualità.
Fino a pochi anni fa, molti di questi comuni sognavano di divenire le periferie del benessere urbano e oggi cercano di sottrarsi a una marginalità di cui sono corresponsabili per le leggerezze speculatorie commesse durante la fase di crescita repentina.
L'espansione urbana interessa luoghi sempre più distanti dalla città che sembrano seguire a ritmi ancor più rapidi lo stesso iter inconsapevole e poco lungimirante di urbanizzazione.
L'entrata nell'orbita urbana comporta il passaggio dalla centralità in una dimensione periferica alla marginalità in un contesto centrale, se non avviene un corrispondente adeguamento delle infrastrutture sociali che mantenga viva l'identità del luogo e la sua vita sociale.
La periferia ha la coscienza, nello stesso tempo, di essere una componente fondamentale del benessere urbano, ma anche di vivere un ruolo subordinato rispetto ai centri decisionali cittadini.

Nuovi luoghi sociali

La dipendenza di questi luoghi dai servizi cittadini è oggi ridotta dalla comparsa dei grandi centri commerciali, che finiscono però per divenire anche i principali punti di aggregazione sociale, le piazze di queste città nate ai lati di una strada di scorrimento.
Gli ipermercati non appartengono al tessuto di questi comuni, la loro raggiungibilità è concepita a partire dall'auto; la loro fruizione come luogo di incontro è un elemento imprevisto in un luogo progettato in funzione del gesto dell'acquisto.
La scelta di vivere un negozio come luogo aggregativo dimostra non solo la mancanza di possibilità alternative, ma anche come il modello dell'acquisto, l'essenza edonistica della dimensione privata dell'individuo, sia così profondamente radicato nella nostra cultura da divenire motivo di identificazione sociale: l'ipermercato è luogo di tutti perché celebra un gesto universalmente condiviso in cui tutti si riconoscono.
Ogni elemento perturbante questa dimensione individualistica è bandito; la solidarietà e l'impegno sociale possono penetrare questi luoghi solo a patto di proporsi secondo una logica di merchandising: in un ipermercato non vedremo mai un barbone chiedere l'elemosina, ma troviamo ragazzi ben vestiti raccogliere fondi per la ricerca sul cancro, offrendoci la possibilità di comprare la merce virtuale della "buona azione".

I vantaggi del paese

Il paese ha forte identità di luogo, indotta anche dalla riconoscibilità dei suoi confini fisici.
La seducente cultura urbana raggiunge il paese, ma la differenza di scala delle esperienze e delle possibilità evidenzia il distacco tra questo modello culturale e la realtà concreta della dimensione paesana.
Il modello globale urbano è percepito come direzione evolutiva, avanguardia culturale, ma resta tendenziale e astratto, è un modello che deve necessariamente confrontarsi con la concretezza dell'esperienza individuale perché fa riferimento a una realtà "diversa".
Nel paese non si realizza, cioè, quell'identificazione dell'individuo nel modello sociale che può portare ad avvertire come proprie le risposte culturali del sistema, prescindendo dall'esperienza diretta.
Il cittadino rischia di non avvertire l'astrazione delle proprie risposte alla diversità ed è spesso impreparato al confronto diretto col diverso, di cui ha un'immagine virtuale, uno stereotipo spesso incompatibile con la realtà che può rivelarsi un ostacolo nelle possibilità di interazione diretta col diverso.
Il cittadino crede di sapere, il paesano dubita o è abbagliato, ma comunque sa di non avere vissuto certe esperienze.
Anche se coinvolto marginalmente nel flusso del cambiamento e legato a modi di vita più tradizionali, paradossalmente, il paese si rivela spesso capace di forme di assimilazione della diversità più efficaci di quelle urbane perché mantiene una dimensione sociale ancora legata all'esperienza diretta e al rapporto interpersonale.
Il paese obbliga alla relazione diretta per il ridotto numero dei suoi abitanti, i gruppi sono eterogenei per età, reddito, cultura.
In un paese un adolescente si troverà a frequentare un gruppo in cui ci saranno ragazzi di età diverse, gli capiterà spesso di entrare in contatto con bambini e anziani, sperimenterà la diversità più di un cittadino suo coetaneo.
Di fronte all'immigrato albanese manifesterà probabilmente la generica diffidenza che si ha nei confronti dello sconosciuto (proprio perché è abituato a conoscere direttamente), ma avrà facilmente la possibilità della conoscenza diretta che trasformerà "l'immigrato" in "individuo", il "problema culturale" in "persona".
Il cittadino avrà probabilmente visto centinaia di albanesi nella sua città; probabilmente non avrà parlato con nessuno di loro, perché in città gli albanesi sono un numero sufficiente a rendere opportuno destinare loro spazi appositi (e quindi isolarli dai normali).
Ha una morale culturale che gli dice che tolleranza e integrazione sono valori positivi, e un'esperienza virtuale che gli parla di prostituzione, galeotti evasi e immigrati in Italia…, ma soprattutto un'inesperienza che lo porterà ad assimilare l'albanese allo zingaro, al magrebino, in un magma di differenza pericolosa con cui non sente il bisogno di entrare in contatto.
Il cittadino non sente il bisogno di affiancare alle risposte culturali quelle individuali.
Il risultato è che mi sono sentito chiedere più volte da miei concittadini se non abbiamo problemi con la nostra colf albanese, mentre, nel paesino dell'entroterra marchigiano in cui vado in vacanza da anni, non parlano di immigrazione albanese ma di Yuri, Nicholas…
Nel paese la delega alle istituzioni dei problemi sociali è enormemente ridotta perché esiste la dimensione interpersonale del vicinato allargato: il problema è ancora risolto su scala individuale e non sociale o culturale.
Il matto del paese, l'anziano, l'ubriacone trovano spazi e possibilità di inserimento nella disponibilità individuale e soprattutto nella flessibilità spontanea della dimensione collettiva di un gruppo che si riconosce in un luogo.


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