2. DALL'ANALISI DEL SEGNO AL MODELLO SEMIOTICO-ENUNCIAZIONALE


2.7. LE FIGURE RETORICHE
2.7.1. I metaplasmi e le metatassi
2.7.2. I metasememi
2.7.3. I metalogismi


2.8. ALGIRDAS JULIEN GREIMAS: LA SEMIOTICA NARRATIVA E DISCORSIVA
2.8.1. La narratività
2.8.2. Attori ed attanti
2.8.3. Le modalità
2.8.4. Il programma narrativo
2.8.5. Enunciazione ed enunciato


2.9. TEUN VAN DIJK: IL TOPIC O ARGOMENTO DI DISCORSO

2.10. UMBERTO ECO: IL LETTORE MODELLO
2.10.1. Testo, macchina pigra
2.10.2. La cooperazione interpretativa


2.11. MODELLI COMUNICATIVI
2.11.1. Il modello matematico dell'informazione
2.11.2. Il modello semiotico-informazionale
2.11.3. Il modello semiotico-testuale
2.11.4. Il modello semiotico-enunciazionale
NOTE CAPITOLO 2


2.7. LE FIGURE RETORICHE

Attirare e cercare di mantenere l'attenzione del destinatario non è tipico della poesia, ma di ogni atto comunicativo da un discorso politico ad un articolo di giornale alla conversazione di tutti i giorni.
Per approfondire ciò, passiamo ora ad una breve analisi della funzione poetica del linguaggio o meglio detta da alcuni funzione retorica (DUBOIS et al., tr.it.1976, 24 sgg.).
Le figure retoriche non servono solo ad abbellire un contenuto già dato, ma contribuiscono a costruire un contenuto diverso.
Come detto in precedenza, concetti come significante e significato, espressione e contenuto, processo e sistema sono strettamente interrelati e non si può alterare o aggiungere elementi ad un piano del linguaggio senza influire anche sull'altro.
Sono state chiamate metabole "ogni specie di cambiamento di un aspetto qualsiasi del linguaggio" (DUBOIS et al., tr.it.1976, 34).
Metaplasmi,metatassi e metasememi formano il campo degli scarti dal codice.
I metalogismi, invece, sono definibili come trasformazioni del contenuto referenziale.

2.7.1. I metaplasmi e le metatassi

Sono chiamate metaplasmi quelle figure retoriche che modificano l'aspetto sonoro o grafico delle parole o delle unità inferiori alle parole, come le sillabe o i fonemi.
Siamo, in questo caso, nell'ambito della forma dell'espressione in quanto manifestazione grafica o fonica.
Tra le figure retoriche di questo ambito possiamo ricordare l'aferesi, l'apocope, la sincope, la rima e l'assonanza.
Le metatassi sono figure retoriche che modificano la struttura delle frasi, agiscono sulla loro forma, sulla distribuzione dei morfemi e dei sintagmi.
Non dobbiamo però dimenticare che una modificazione della forma dell'espressione influisce anche sulla forma del contenuto.
Per esempio, in italiano il sintagma nominale precede il sintagma verbale.
Un'alterazione di quest'ordine comporta effetti retorici evidenti.
Tra le figure retoriche di quest'ambito ricordiamo l'ellissi, l'asindeto, l'enumerazione, la simmetria, l'anacoluto, il chiasmo e l'iperbato.
Simile all'ellissi è la frase nominale, molto ricorrente nel linguaggio giornalistico.
La frase nominale consiste nella soppressione del sintagma verbale e nella trasmissione del suo contenuto e di parte delle sue funzioni ad un sintagma nominale che resta presente nella frase.
Nel linguaggio giornalistico, specialmente nei titoli, sono molto frequenti altre figure retoriche di quest'ambito come l'ellissi, l'enumerazione, la simmetria e l'iperbato.

2.7.2. I metasememi

I metasememi sono quelle figure retoriche che sostituiscono un semema con un altro attraverso operazioni regolate che modificano i contenuti delle parole.
È utile, a questo punto, introdurre la distinzione tra lessema e semema.
Secondo Greimas e Courtés, il lessema è un prodotto dello sviluppo storico di una lingua naturale, mentre il semema è un'unità del piano del contenuto.
Ogni lessema realizza un percorso sememico lasciandone altri sospesi come virtuali.
Nel momento della realizzazione sintagmatica o semiosi i semi nucleari si congiungono con i semi contestuali producendo così il semema.
Come la modificazione delle articolazioni foniche o grafiche dei significanti o della loro articolazione sintattica produce nel primo caso i metaplasmi e nel secondo le metatassi, così la soppressione o l'aggiunta dei semi o di parte di essi producono i metasememi.
Le figure retoriche più note di quest'ambito sono la sineddoche, la metafora, la metonimia e l'ossimoro.
La sineddoche è quella figura retorica che sostituisce il tutto con la parte, il generale col particolare, ecc.
Dobbiamo però notare che non è possibile operare una sostituzione qualsiasi.
Per esempio, possiamo usare come sineddoche di "vascello" il lessema "vela" o di "pugnale" il lessema "lama", ma non possiamo sostituirli con "remo" od "impugnatura".
Perché sia garantita l'intellegibilità del discorso "bisogna dunque mantenere i semi essenziali" (DUBOIS et al., tr.it.1976, 159).
È possibile che anche i semi essenziali vengano eliminati per mezzo della sineddoche, ma, in questo caso, devono essere comunque presenti nel contesto perché il discorso sia compreso, grazie alla ridondanza semantica o isotopia.
La metafora è una figura retorica prodotta dalla soppressione ed aggiunzione di semi.
Nella metafora abbiamo i due significanti identici ma i due significati diversi.
La metafora, per essere corretta, deve comportare una sostituzione sull'asse del paradigma tra sememi che hanno in comune un'intersezione semica.15
Inoltre, è proprio grazie alla parte non comune che si manifesta l'originalità della figura.
Per esempio, nella celebre affermazione di Pascal "l'uomo è una canna pensante" i sememi "uomo" e "canna" hanno in comune il sema della fragilità e non in comune il sema del pensiero.
È grazie al fatto che le proprietà dell'intersezione semica vengono allargate ad entrambi i sememi che la metafora è una figura retorica altamente creativa.
Di solito la metonimia viene definita come una figura retorica che si ottiene con una sostituzione sull'asse del sintagma di unità contigue spazialmente, temporalmente o causalmente.
Mentre nella metafora vi è una intersezione semica tra due sememi, nella metonimia i due sememi considerati sono inglobati in un insieme di semi.
Per esempio, se in un articolo di un giornale su un comizio troviamo l'enunciato "la piazza si è messa a fischiare", notiamo che il luogo del comizio ed i suoi partecipanti vengono inglobati in una totalità spazio-temporale.
L'ossimoro è quella figura retorica che accosta due parole, di solito un aggettivo ed un sostantivo in netta contraddizione tra loro.
Abbiamo cioè un sema nucleare di un semema incompatibile con il sema nucleare dell'altro.
Sono ossimori, per esempio, le espressioni "neve infuocata", "oscuri chiarori", ecc.

2.7.3. I metalogismi

L'ambito dei metalogismi comprende quelle figure retoriche che modificano il valore logico delle frasi.
I metalogismi fanno appello alla conoscenza che il destinatario ha del referente per contraddirne i dati.
I metalogismi hanno "come criterio la necessaria referenza ad un dato extralinguistico" (DUBOIS et al., tr it.1976, 191).
Essi sono operazioni che agendo sul referente riguardano sì i sememi ma non alterano il codice.
Tra i metalogismi possiamo collocare la reticenza, il silenzio, l'iperbole, l'eufemismo, l'ironia ed il paradosso.
Nei discorsi politici e giornalistici è facile riconoscere molte di queste figure retoriche che permettono al destinatario di operare una sua aggiunzione di semi o di segni.
Con il silenzio o con la reticenza non vi è alterazione del codice ma la sua sospensione o soppressione.
Con l'iperbole si compie come un'operazione aritmetica, si dice di più per dire di meno, si aumentano le cose.
Anche il silenzio può essere iperbolico.
Per esempio, se in un titolo o in un articolo di un giornale troviamo dei puntini di sospensione, questi vogliono indicare più di quanto si può dire.
Con l'eufemismo chi enuncia toglie i semi per lui ingombranti o superflui sostituendoli con semi a lui più favorevoli.
Abbiamo l'ironia quando la sostituzione dei semi da parte del parlante o dell'autore comporta una sua distanziazione o negazione dei fatti.
Per esempio, un uomo politico può ironizzare su un suo avversario mediocre dicendo che è molto valido.
Anche con l'ironia non vi è trasgressione del codice tanto che essa è percepibile solo attraverso il contesto linguistico ed extralinguistico.
Con il paradosso non vi è solo una sostituzione di semi ma una soppressione attraverso il linguaggio di elementi del reale.
Con il paradosso si cerca di far credere che le cose non sono ciò che sono.

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2.8. ALGIRDAS JULIEN GREIMAS: LA SEMIOTICA NARRATIVA E DISCORSIVA

La retorica è nota come arte del persuadere ed appartiene ad una determinata classe di discorsi, quelli persuasivi.
Il far credere non è, comunque, l'unica modalità presente nei discorsi.
Questo sarà chiaro dopo il nostro approfondimento di alcune intuizioni della semiotica strutturalista, in particolare di Algirdas Julien Greimas.
Greimas, partendo dall'analisi proppiana delle fiabe di magie russe e da alcune intuizioni della linguistica strutturalista, in particolare di Hjelmslev e Benveniste, giunge ad elaborare un potente modello di analisi della forma del contenuto.
Del vasto impianto teorico greimasiano ci occuperemo in particolare della sintassi narrativa e della sintassi discorsiva.
Bisogna comunque ricordare che il senso si manifesta sotto forma di significazione attraverso un percorso generativo dal più semplice al più complesso, dal più astratto al più concreto (cfr. fig.1.).
La struttura elementare della significazione, posta nel livello semio-narrativo profondo, è rappresentabile attraverso il quadrato semiotico.16
Non potremo, inoltre, nel corso della presentazione della teoria greimasiana e, successivamente, nell'analisi della rappresentazione giornalistica di un evento non fare ricorso a concetti come isotopia e figurativizzazione che sono propri dei livelli semantici.17
Il modello teorico greimasiano ci permette di analizzare non solo racconti orali e letterari, ma anche testi dal significante non lineare, come quelli pittorici o fotografici, sino ai grandi fenomeni sociali.

2.8.1. La narratività

Centrale in Greimas è l'intuizione che "la componente narrativa assume il ruolo di un universale del piano del contenuto dei linguaggi" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 65).
La narratività, quindi, non è solo una proprietà dei racconti e delle fiabe ma di ogni tipo di discorso.
Greimas parte dall'analisi di Propp sulle fiabe di magia russe e dalle critiche rivolte a quest'ultimo da Lévi-Strauss (cfr.2.3.2.).
La riflessione sui raggruppamenti delle unità narrative ha portato Greimas ad individuare l'alta ricorrenza delle configurazioni discorsive del contratto, della prova e del dono.
In particolare, la prova è quella configurazione discorsiva che mette in rilievo la natura polemica del discorso.
Essa corrisponde, al livello della sintassi narrativa di superficie, ad un programma narrativo in cui soggetto del fare e soggetto di stato sono sincretizzati in un unico attore ma è implicata anche l'esistenza di un anti-soggetto volto a realizzare il programma inverso.
Nella prova vi è un trasferimento di oggetti di valore tale che vi è un'appropriazione e una spoliazione.
Lo schema della prova sembra riflettere il senso della vita nell'articolazione di tre momenti fondamentali:
  1. la qualificazione del soggetto o prova qualificante;
  2. la realizzazione, cioè la congiunzione del soggetto con l'oggetto di valore o prova decisiva;
  3. il riconoscimento e/o ricompensa del soggetto o prova glorificante.
Greimas supera lo schema delle funzioni narrative proppiane, in quanto sulla scia di Lévi-Strauss, non pone l'ordine delle prove in una successione temporale ma di presupposizione logica (cfr.2.3.2.).
Infatti, un soggetto può essere qualificato o competente senza mai passare all'azione o vi possono essere azioni che non sono riconosciute o sanzionate.

2.8.2. Attori ed attanti

Propp aveva individuato sette sfere d'azione dei personaggi (cfr.2.3.1.).
Dalla riflessione su questo, Greimas introduce lo schema attanziale articolato sulle coppie destinante-destinatario, soggetto-oggetto, aiutante-opponente.
Quest'ultima coppia è stata poi riassorbita nella teoria delle modalità (cfr.MARSCIANI e ZINNA, 1991, 68).
Per quanto riguarda la coppia soggetto-oggetto, dobbiamo notare che essi si definiscono reciprocamente.
Un soggetto è tale solo per la sua relazione giuntiva con l'oggetto.
Il desiderio o volere un oggetto dà origine a trasformazioni congiuntive, l'avversione o non volere dà origine a trasformazioni disgiuntive.
Centrale per capire la relazione tra soggetto ed oggetto è la categoria di valore.
L'oggetto è sempre un oggetto valorizzato ed il soggetto è colui per il quale quell'oggetto acquista un senso, grazie al valore investito.
Il valore è
"ciò che rende possibile, per i soggetti e gli oggetti discorsivi, l'esistenza semiotica, questo modo specifico di esistere che consiste nel fungere da articolazioni del senso" (MARSCIANI e ZINNA,1991,79).
Per quanto riguarda la coppia destinante-destinatario, possiamo notare che il destinante corrisponde alla sfera d'azione del mandante in Propp, mentre il destinatario corrisponde al soggetto-eroe a cui viene dato il compito di rimediare al danneggiamento o alla mancanza.
Questi due attanti non sono sullo sullo stesso piano.
Il destinante, infatti, oltre ad essere colui che comunica al destinatario la competenza e l'insieme dei valori in gioco è anche colui che ha il compito di sanzionare la performanza del soggetto, facendosi garante di un universo di valori e ponendosi così su un livello trascendente.
Possiamo dire che
"al Destinante pertiene il volere, spesso comunicato attraverso un oggetto di natura linguistica, e che al destinatario compete il dovere circa l'azione da portare a termine" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 67).
Data la struttura polemica dei discorsi, abbiamo un soggetto con il suo destinante ed un anti-soggetto con il suo anti-destinante.
Come detto prima, l'anti-soggetto è colui che investe nell'oggetto un valore contrario a quello del soggetto.
Per essere precisi, chiamiamo opponente l'attante che agisce contro il soggetto nel momento dell'acquisizione della competenza e anti-soggetto l'attante che agisce al momento della performanza.
Dobbiamo anche distinguere tra gli attanti, che appartengono alla sintassi narrativa e gli attori che si manifestano a livello della sintassi discorsiva.
Un attante può essere manifestato nel discorso da più attori o un attore essere sincretismo di più attanti.
Per esempio, in un discorso il destinante manipolatore può essere un attore individuale ed il destinante giudice essere un attore sociale.

2.8.3. Le modalità

Dobbiamo notare, a questo punto, che il modello attanziale e lo schema narrativo basato sulla prova non sono sufficienti a spiegare testi complessi come, per esempio, quelli che riguardano conflitti interiori, in quanto questi pongono "le trasformazioni su di una dimensione cognitiva che sfugge ad una descrizione per funzioni" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 90).
La teoria narrativa, che si era sviluppata, come abbiamo visto attorno al livello pragmatico dell'atto, dovendo passare all'analisi di modelli di narrazione sempre più complessi sente la necessità di interrogarsi sulla dimensione cognitiva del soggetto che agisce.
Si è giunti così ad una teoria che prende in considerazione le modalità dei soggetti che interagiscono nell'atto.
Possiamo definire un predicato modale quello che "modifica un secondo predicato, semplicemente perché lo precede posizionalmente sulla catena sintagmatica della frase" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 91).
Le due principali classi di predicati sono quelli che danno origine agli enunciati di stato o dell'essere e quelli che danno origine agli enunciati di trasformazione o del fare.
Sia gli enunciati di stato che quelli del fare possono trovarsi nella posizione di enunciati modali o in quella di enunciati descrittivi (cfr. fig.2.). Abbiamo così: Quello che è chiamato atto pragmatico è l'insieme di una competenza e di una perfomanza in cui il soggetto di stato ed il soggetto del fare sono sincretizzati in un unico attore.
L'atto pragmatico è, inoltre, inquadrato in una dimensione cognitiva, formata dai due momenti contrattuali della performanza cognitiva o manipolazione e della competenza cognitiva o sanzione.
Il primo di questi momenti, noto col nome di manipolazione, è un fare cognitivo che cerca di provocare un fare somatico.
Questo fare cognitivo è proprio del destinante manipolatore.
Il secondo di questi momenti è noto col nome di sanzione in cui il destinante giudicatore riconosce che la performanza del soggetto è conforme all'universo dei valori di cui il destinante è garante.
Come detto in precedenza, il destinante appare come un'istanza trascendente, manipolatore e giudice del rapporto contrattuale, mentre il soggetto mette in gioco il suo fare ed il suo essere, le sue competenze referenziali e modali.
Approfondendo la tematica del fare persuasivo e del fare interpretativo, Greimas scopre che il percorso narrativo non è dominato da una "verità" assoluta, ma si costruisce attraverso mosse e contromosse dei soggetti che partecipano alla comunicazione.
La comunicazione non è solo un fare informativo, ma anche un luogo di lotte, contrattazioni e riconoscimenti.
La comunicazione è efficace non solo se è ricevuta dal destinatario ma se quest'ultimo anche aderisce alle sue modalità, sanzionandone così il contratto di veridizione.18
Il fare persuasivo è un fare cognitivo che cerca di provocare un fare altrui ed i suoi programmi modali sono incrivibili nella struttura della manipolazione.
Il manipolatore che esercita il fare persuasivo attraverso il potere proponendo oggetti positivi esercita una tentazione, mentre se propone oggetti negativi fa ricorso alla minaccia.
La manipolazione secondo il sapere caratterizza, invece, la provocazione quando viene dato un giudizio negativo sulle competenze del destinatario, mentre se viene dato un giudizio positivo abbiamo la seduzione.
Possiamo anche notare che se la persuasione modifica la competenza modale del soggetto secondo il volere abbiamo la seduzione o la tentazione, se la modifica secondo il dovere abbiamo la provocazione o la minaccia (cfr.fig.3.).
Il manipolato è così indotto a esercitare un fare interpretativo nel caso della seduzione e della provocazione su un'"immagine" positiva o negativa della sua competenza e nel caso della tentazione e della minaccia su un oggetto di valore positivo o negativo.
Come il soggetto è dotato di una competenza pragmatica, così il destinante è dotato di una competenza cognitiva in base alla quale esso può sanzionare l'atto pragmatico del soggetto in base al sistema assiologico dei valori presenti nel contratto iniziale.
Il destinante esercita, più precisamente, una sanzione pragmatica sul fare del soggetto e/o una sanzione cognitiva sull'essere del soggetto.
È al livello della sanzione cognitiva come giudizio epistemico sull'essere del soggetto e sugli enunciati di stato che vanno introdotti i concetti di modalità veridittive ed epistemiche. 19

2.8.4. Il programma narrativo

Passiamo ora al concetto di programma narrativo.
È questo un concetto importante perché nell'analisi dei testi bisogna essere in grado di gerarchizzare i programmi narrativi, distinguendo tra quelli di base e quelli d'uso.
Possiamo distinguere il programma narrativo dai sintagmi del contratto, del dono e della prova in quanto questi ultimi sono configurazioni discorsive, mentre un programma narrativo è
"un'unità di natura sintattica, costituita da un enunciato di fare che regge un enunciato di stato e situata pertanto sul livello semio-narrativo" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 99).
I programmi narrativi di base si distinguono da quelli d'uso per il tipo di valore investito negli oggetti.
Nei programmi narrativi di base il valore investito è di natura descrittiva, cioè valori che designano oggetti consumabili o tesaurizzabili (valori oggettivi) o valori che designano piaceri o stati d'animo (valori soggettivi).
Nei programmi narrativi d'uso, invece, il valore investito è di natura modale, cioè il volere, dovere, potere e sapere che possono modalizzare sia l'essere che il fare.
I programmi narrativi di base sono dilatati dai programmi d'uso.
Essendo un programma narrativo di base una performanza, esso presuppone una competenza che appare così come un programma d'uso caratterizzato dal fatto che i valori a cui tende sono di natura modale.
Il programma di acquisizione del sapere non è che il momento incoativo, all'inizio dell'intero movimento narrativo lontano dalla performanza, anche se in progressivo avvicinamento a quest'ultima.
Il programma di ricerca del potere coincide, invece, con il momento durativo dell'intero programma.
Quando il soggetto ha acquisito la competenza, l'oggetto-potere, ci si sta avvicinando al momento della trasformazione, della performanza attesa lungo la progressione della narrazione.
Sul piano discorsivo, tutto questo è reso manifesto da unità semiche dette marche aspettuali (cfr.MARSCIANI e ZINNA, 1991, 101 sgg.).
Il concetto di programma narrativo mette in evidenza la prospettiva della narrazione, cioè il fatto che "il testo può narrare la storia tanto a partire dal programma d'azione del soggetto che dell'anti-soggetto" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 102).
Data la natura polemica del confronto tra soggetto e anti-soggetto, un programma narrativo contiene vere e proprie strategie.
Il soggetto può decidere di passare alla performanza dopo aver esaminato la competenza dell'anti-soggetto.
La lotta non è così tra soggetti del fare ma
"tra simulacri di soggetti che, attraverso azioni cognitive basate sulle rispettive strategie di comunicazione, contrattano e si disputano il valore dei propri simulacri e dei simulacri degli oggetti, in breve quella che più banalmente chiamiamo immagine dei soggetti o di status a cui conduce il possesso dei beni o dei servizi" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 104).


2.8.5. Enunciazione ed enunciato

È a livello della sintassi discorsiva che la teoria greimasiana rielabora e approfondisce le problematiche dell'enunciazione poste da Benveniste (cfr.2.5.). Secondo la teoria greimasiana, l'enunciazione non è un'istanza di produzione che fa parte del contesto extralinguistico a cui l'enunciato fa riferimento ma "un'istanza semiotica logicamente presupposta dalla stessa esistenza dell'enunciato che si suppone contenga di essa delle tracce o marche" (MARSCIANI e ZINNA, 1991, 120).
L'enunciazione è, quindi, un'istanza di mediazione che assicura la conversione in discorso della virtualità della lingua e che permette il passaggio dalla competenza alla performanza linguistica, dalle strutture semio-narrative alle strutture discorsive.
L'enunciazione è il luogo di un "io, qui ed ora" che prima della sua articolazione è semioticamante vuoto e semanticamente troppo pieno.
L'enunciato prodotto conserva dell'enunciazione solo parzialmemte alcune tracce.
L'enunciazione è l'attività soggettiva originaria, è una pura istanza di produzione.
L'analisi semiotica ha a che fare con quello che l'enunciazione non è, cioè con l'enunciato che la presuppone.
I due concetti centrali della sintassi discorsiva sono il débrayage e l'embrayage.
Il débrayage è la proiezione fuori dall'istanza dell'enunciazione degli attanti dell'enunciato e delle sue coordinate spazio-temporali.
Il débrayage attanziale è una proiezione da parte del soggetto dell'enunciazione di un "non-io" nell'enunciato, il débrayage spaziale è la proiezione di un "non-qui", il débrayage temporale di un "non-ora".
Ogni "io" che troviamo nell'enunciato non coincide con il soggetto dell'enunciazione ma ne è un simulacro.
Quando troviamo in un discorso i simulacri "io" e "tu" degli attanti dell'enunciazione, abbiamo un débrayage enunciazionale o enunciazione enunciata.
Questi simulacri sono chiamati enunciatore e enunciatario.
Si ha un débrayage enunciativo, quando l'enunciato assume una forma oggettivata, cioè quando attanti e predicati non contengono le marche dell'enunciazione.
Si parla, inoltre, di débrayage cognitivo quando l'istanza dell'enunciazione proietta nel discorso soggetti cognitivi quali l'informatore e l'osservatore.20
Per quanto riguarda il débrayage spaziale, dobbiamo distinguere in una narrazione tra spazio topico che localizza il programma narrativo di base e gli spazi detti eterotopici.
Lo spazio topico si può, inoltre, suddividere in spazio utopico che è il luogo della performanza e spazio paratopico che è il luogo dell'acquisizione della competenza.
Per quanto riguarda il débrayage temporale, è sufficiente dire che i programmi narrativi possono essere localizzati temporalmente, grazie alle categorie della concomitanza e della non concomitanza.
Quest'ultima può essere ulteriormente articolata in anteriorità e posteriorità.
La funzione inversa del débrayage è detta embrayage.
Mentre il débrayage è proiezione al di fuori dell'istanza dell'enunciazione, l'embrayage designa un effetto di ritorno verso l'enunciazione, conferendo così al soggetto dell'enunciazione lo statuto illusorio dell'essere.
Ogni embrayage presuppone un débrayage a lui logicamente anteriore, rispetto al quale compie una reiezione.
Abbiamo un embrayage quando in un discorso si torna verso l'istanza dell'enunciazione, usando i pronomi "io" e "tu", gli avverbi "qui" ed "ora", i nomi propri dell'enunciatore e dell'enunciatario e altri indicatori del tempo e del luogo dell'enunciazione.
Possiamo concludere dicendo che questo ritorno all'istanza dell'enunciazione non è che un effetto di senso legato alle strategie veridittive degli attanti dell'enunciazione e non riferimento a realtà extra-semiotiche.
Tutta la teoria greimasiana è una teoria della generazione del senso.
La stessa "verità" non è che un effetto di senso prodotto da un discorso che ha come scopo "non il dire-vero ma il sembrare vero" (GREIMAS, tr.it.1984, 108).
Il discorso non ha come scopo l'adeguarsi ad un referente ma di essere letto come "vero" da un destinatario.
Al concetto di "verità", Greimas sostituisce quello di "efficacia".
La manipolazione discorsiva ha come scopo "l'adesione del destinatario, il solo in grado di sanzionare il contratto di veridizione" (GREIMAS, tr.it.1984, 108).

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2.9. TEUN VAN DIJK: IL TOPIC O ARGOMENTO DI DISCORSO

Abbiamo accennato prima al concetto semantico di isotopia.
Analizziamo ora come un parlante o comunque un soggetto che enuncia un discorso e chi ha il compito di comprenderlo e di interpretarlo si basano su delle macrostrutture semantiche e su delle unità cognitive.
Ogni discorso ha un suo argomento, un suo tema.
Possiamo, in generale, affermare che gli argomenti di discorso o topic riducono, organizzano e categorizzano l'informazione semantica delle sequenze di frasi come totalità attraverso regole e strategie che ogni destinatario attua sulla base delle proprie conoscenze del mondo, delle proprie credenze e dei propri interessi.
Un concetto, esprimibile in una proposizione, può diventare argomento di discorso se "organizza gerarchicamente la struttura concettuale (proposizionale) della sequenza" (VAN DIJK, tr.it.1980, 205).
Mentre il topic denota la cosa attorno a cui si asserisce qualcosa, il comment denota la cosa detta o predicata attorno al topic.
Gli utenti della lingua non sono solo in grado di produrre e/o interpretare i discorsi attorno ad un certo argomento, ma anche di cambiare l'argomento e di percepire questo cambiamento.
Dato che, quando un discorso ha un certo argomento, ciascuna frase deve soddisfarlo direttamente o indirettamente, abbiamo un cambiamento di topic se una frase introduce un argomento o un predicato di un argomento che non possono più essere sussunti sotto il precedente.
Attraverso quali operazioni gli utenti della lingua arrivano ad individuare il topic di un discorso?
Possiamo individuare tre regole di riduzione-integrazione dell'informazione:
  1. cancellazione;
  2. generalizzazione;
  3. integrazione.
I topic dei discorsi scritti sono individuabili attraverso indicatori grafici e linguistici.21
Per esempio, il lettore di un giornale può individuare i topic attraverso i titoli, i sommari, le testatine, ecc.
Può, inoltre, individuare i cambiamenti di topic, grazie alle avversative, alle enumerazioni, ecc.
La comprensione, l'organizzazione ed il ricordo dell'informazione semantica di un discorso non dipendono solo da regole linguistiche di riduzione-integrazione, ma anche da regole che ne determinano l'organizzazione globale.
Abbiamo parlato in precedenza di regole proprie della sintassi narrativa e discorsiva.
Introduciamo ora il concetto di unità cognitiva.22
Possiamo definire l'unità cognitiva come un
"principio organizzativo che mette in relazione una quantità di concetti che per convenzione ed esperienza formano un'unità che si può realizzare in vari compiti cognitivi, come la produzione e la comprensione del linguaggio, la percezione, l'azione e la soluzione di problemi" (VAN DIJK, tr.it.1980, 243).
È grazie anche a queste unità cognitive che comprendiamo se un discorso è coerente.
Infatti, è grazie ad esse che organizziamo la conoscenza sulle affinità tra oggetti, eventi ed azioni.
Per esempio, se un articolo di un giornale parla di uno sciopero, di una manifestazione o di un certo disastro naturale, il lettore, grazie alle unità cognitive di cui dispone, ha la capacità di confrontare le sue conoscenze con quanto gli viene proposto e verificare se ciò è conforme alle sue attese e di, eventualmente, mettere in atto letture alternative.

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2.10. UMBERTO ECO: IL LETT0RE MODELLO

Non ci soffermiamo ora a presentare tutto il vastissimo impianto teorico di Umberto Eco e tutti i concetti della semiotica intepretativa.23
Concentriamo la nostra attenzione sul concetto di lettore modello e sui risvolti che esso ha sulla nozione di topic.

2.10.1. Testo, macchina pigra

Eco parte dall'osservazione che il testo è
"una macchina pigra che esige dal lettore un fiero lavoro cooperativo per riempire spazi di non-detto o di già-detto rimasti per così dire in bianco" (ECO, 1979, 24).
Un testo è sempre in qualche modo reticente, è pieno di presupposizioni referenziali, semantiche e pragmatiche.
Un testo è complesso proprio perché ricco di "non-detto", cioè di non manifestato a livello dell'espressione e che il lettore deve attualizzare a livello del contenuto attraverso movimenti cooperativi.
Le competenze e i codici del mittente e del destinatario non sono necessariamente gli stessi e, quindi, sono necessarie strategie testuali per evitare decodifiche aberranti.24
Un testo è
"un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui-come d'altra parte in ogni strategia" (ECO, 1979, 54).
Se da un lato abbiamo un autore empirico che come soggetto dell'enunciazione formula la strategia testuale del lettore modello, dall'altro abbiamo un lettore empirico che come soggetto della cooperazione intepretativa attua un'ipotesi di autore modello sulla base dei dati testuali.
Il lettore empirico non deve però commettere l'errore di confondere l'autore modello inscritto nel testo con i dati che egli ha sull'autore empirico come soggetto dell'enunciazione.
La cooperazione testuale si realizza, infatti, si realizza tra due strategie testuali, non tra due soggetti empirici individuali.
Possiamo sintetizzare dicendo che
"il lettore modello costituisce una strategia testuale che simula il comportamento interpretativo dell'enunciatario; l'autore modello si presenta come il soggetto della strategia testuale di produzione del testo, come somma di intenzioni virtualmente contenute nel testo stesso" (MANETTI, 1992, 75).
Possiamo aggiungere che un testo può prevedere più lettori modello, per esempio un lettore ingenuo e uno più critico.

2.10.2. La cooperazione interpretativa

Il destinatario di un testo deve magnificare o narcotizzare le proprietà dei lessemi bloccando così il processo di semiosi illimitata.
È sulla base del topic che il lettore empirico magnifica o narcotizza le proprietà semantiche dei lessemi "stabilendo un livello di coerenza interpretativa, detta isotopia" (ECO, 1979, 92).
Mentre per Greimas l'isotopia è la ricorrenza di categorie semiche che permette una lettura omogenea del testo, per Eco isotopia è "un termine-ombrello che copre diversi fenomeni semiotici genericamente definibili come coerenza di un percorso di lettura, ai vari livelli testuali" (ECO, 1979, 93).25
L'individuazione del topic è, secondo Eco, un'operazione pragmatica compiuta dal destinatario.
Mettere in atto la cooperazione intepretativa significa per il destinatario andare a cercare l'intentio operis, cioè "verificare la presenza di una struttura che l'autore ha pensato come aperta, ma non indefinitamente" (MANETTI, 1992, 77).
Quando il lettore empirico cerca di incarnare il lettore modello, di trovare l'intentio operis, abbiamo l'intepretazione che, nel caso contrario abbiamo l'uso.
La cooperazione interpretativa può, quindi, essere definita come un dialettica tra intentio operis e intentio lectoris.

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2.11. I MODELLI COMUNICATIVI

Sintetizziamo ora l'evoluzione dei modelli comunicativi che sono stati alla base delle ricerche sui mass media e della semiotica sino alla proposta di un modello semiotico-enunciazionale che applicheremo poi nell'analisi comparata della rappresentazione giornalistica di un evento.

2.11.1. Il modello matematico dell'informazione

Il modello comunicativo che ha influenzato le prime ricerche sui mass media è quello derivante dalla teoria matematica della comunicazione o teoria dell'informazione.
Questo modello ha influenzato anche teorie comunicative come quella di Jakobson (cfr.2.6.).
Secondo questo modello, una fonte di informazione emette un messaggio codificato in un segnale per mezzo di un apparato trasmittente.
Questo segnale viaggia attraverso un canale lungo cui può essere disturbato da un rumore.
Alla fine del canale c'è un apparato ricevente che decodifica il segnale in messaggio poi ricevuto da un destinatario (cfr.fig.4.).
L'attenzione dei sostenitori di questa teoria era posta in particolare sull'eliminazione delle possibili fonti di rumore, sul modo di far passare il massimo dell'informazione con il minimo di distorsione e con la massima economia possibile.
Centrale è il concetto di codice inteso come sistema di regole che attribuisce ai segnali un dato valore.
Si parla, in questa teoria, di valore e codice in senso cibernetico, cioè come sistema di organizzazione interna dei segnali, di distribuzione statistica uniforme alla fonte.
Per questa teoria sono rilevanti gli aspetti legati al significante, al livello dell'espressione.
Siamo, quindi, lontani dal concetto di codice come insieme strutturato di regole che correla unità di un sistema sintattico con unità di un sistema semantico.
La teoria matematica della comunicazione, comunque, era sufficiente per quelle ricerche sui mass media che concentravano l'attenzione sugli effetti dei messaggi sui destinatari.
I limiti di questa teoria sono:

2.11.2. Il modello semiotico-informazionale

Il modello semiotico-informazionale nasce con l'inserimento della problematica della significazione sul modello matematico della comunicazione.
Questo modello mette in discussione il fatto che l'informazione rimanga costante lungo tutto il percorso comunicativo e che i codici siano del tutto comuni ad emittente e destinatario.
Centrale in questo modello è il concetto di dedodifica.
Si passa da un concetto di "comunicazione come trasferimento di informazione a quella di trasformazione da un sistema all'altro" (WOLF, 1985, 124).
Tra l'emissione di un messaggio come significante che veicola un certo significato e la sua ricezione come significato da parte di un destinatario, c'è posto per un processo negoziale (cfr.fig.5.). Infatti,
"a seconda delle diverse situazioni socio-culturali, esiste una diversità di codici, ovvero di regole di competenza e di intepretazione...E qualora esistano codici di base accettati da tutti, si hanno differenze nei sottocodici, per cui una stessa parola capita da tutti nel suo significato denotativo più diffuso, può denotare per gli uni una cosa e per gli altri un'altra" (ECO e FABBRI, 1978, 561).

Quando i destinatari intepretano i messaggi in modo difforme dalle intenzioni dell'emittente si parla di decodifica aberrante.
Se la decodifica è attuata in modo volontariamente divergente, cioè il destinatario delegittima l'emittente di cui ha però compreso il messaggio, si parla di guerriglia semiologica.
È questo il caso delle pratiche di controinformazione che hanno come scopo il rifiuto e lo smascheramento del codice egemonico in una società.

2.11.3. Il modello semiotico-testuale

Il modello semiotico-testuale non pone più al centro del percorso comunicativo il messaggio, ma il testo.
Questo spostamento teorico è rilevante in quanto permette di considerare che: Secondo questo modello, nella comunicazione non è in gioco una conoscenza di codici e sottocodici, ma delle competenze testuali.
Nonostante l'asimmetria tra le competenze degli emittenti e dei destinatari, la significazione è un processo negoziale, non è possibile fissarla prima dell'interazione comunicativa.
Anche il destinatario è costruito in quanto tale nel momento in cui, di fronte al testo, egli lo investe di senso trasformandolo.
Del resto anche gli emittenti prevedono un tipo di destinatario o lettore modello, cioè essi non tengono conto solo dell'informazione da trasmettere ma tengono anche conto delle competenze dei destinatari (cfr.2.10.1.). Come detto prima, i destinatari intepretano i testi attraverso pratiche testuali sedimentate.
Tra queste possiamo porre la capacità dei destinatari di collocare un testo in una serie paradigmatica detta genere e di coglierne le strutture e le regole, sia pure inconsciamente.
Per esempio, sono generi del linguaggio giornalistico gli editoriali, le cronache, le interviste, ecc.
L'individuazione del genere permette di riferirsi ad un certo universo di senso e di adottare una strategia interpretativa ad esso adeguata.

2.11.4. Il modello semiotico-enunciazionale

Il modello semiotico-enunciazionale parte dalla constatazione che nella comunicazione attuata dai media l'emittente non ha mai davanti a sé il destinatario come nella comunicazione interpersonale.
La comunicazione avviene così solo attraverso il testo ed è nel testo che vanno inscritti e cercati i simulacri dell'emittente, del destinatario e dello scambio interazionale.
Come accennato in precedenza, l'emittente
"determina la forma dei propri messaggi non soltanto pensando ai contenuti da trasmettere, ma anche facendo delle inferenze e congetture sulle possibili convinzioni, aspettative e comportamenti interpretativi dei destinatari" (MANETTI, 1992, 71).
L'emittente, o meglio, l'enunciatore empirico inscrive nel testo un simulacro del destinatario o enunciatario, attribuendo a quest'ultimo delle proprietà o facendo esplicitamente riferimento ad esso.
A sua volta, l'enunciatario empirico cerca nel testo i simulacri di se stesso e dell'enunciatore, trovandovi o no "immagini" adeguate alle proprie aspettative ed alle proprie competenze (cfr.fig.6.).
Questi simulacri interni al testo sono nettamente disgiunti dall'istanza dell'enunciazione (cfr.2.8.5.).
Nonostante questo, è proprio grazie a questi simulacri che vengono attivati "quegli effetti di realtà che sono fondamentali affinché si instaurino la credenza e la persuasione" (MANETTI, 1992, 73).
L'enunciatore e l'enunciatario non sono posizioni vuote con la sola funzione di emittente e ricevente ma soggetti dotati di competenza semantica e modale che instaurano un confronto conflittuale e polemico.
La comunicazione è, quindi, un processo interattivo tra soggetti che si scambiano oggetti di valore.
L'informazione è un oggetto di valore messo in circolazione da un soggetto secondo lo schema della comunicazione partecipativa, cioè chi la fa giungere ad un destinatario non se ne priva, anzi il fatto che il destinatario accetti l'informazione è una sanzione sull'essere, sulla "credibilità" di chi la enuncia.
Perché una comunicazione sia "efficace" non basta che il destinatario la riceva ma bisogna che egli la assuma, vi aderisca.
Non basta far conoscere dei contenuti a dei destinatari ma anche far credere e far assumere determinati atteggiamenti comunicativi.
A questo scopo, i simulacri dell'enunciatore e dell'enunciatario devono essere "credibili", altrimenti il lettore si libera da quanto progettato dall'autore e perviene a letture indipendenti e alternative.
Una domanda potrebbe sorgere, a questo punto:
qual'è la differenza tra il concetto di enunciatario e quello di lettore modello?
Il lettore modello è un concetto posto dal punto di vista della semiotica intepretativa e sembra essere concepito come quel lettore ideale che sappia cooperare all'attualizzazione testuale attraverso operazioni pragmatiche come l'individuazione dei topic.26
L'enunciatario, invece, è un concetto dal punto di vista della semiotica generativa ed appare come un simulacro dello scambio interazionale posto dal soggetto dell'enunciazione come strategia discorsiva interna al testo.
Possiamo concludere definendo il testo come
"una macchina semiotica che trasferisce il sapere organizzato dal soggetto dell'enunciazione (...) a un soggetto enunciatario: è la manifestazione contingente di quel sapere in una pratica discorsiva finalizzata alla sua traslazione" (BETTETINI, 1984, 71).
Ogni testo contiene in sé, oltre ai valori semantici degli enunciati, anche la rappresentazione delle sue norme d'uso, mettendo in scena una conversazione simbolica tra enunciatore ed enunciatario.

2.1. FERDINAND DE SAUSSURE:
       IL SEGNO

2.2. LOUIS HIELMSLEV:
       LA FUNZIONE SEGNICA

2.3. VLADIMIR PROPP:
       LE FUNZIONI NARRATIVE

2.4. GLI ATTI LINGUISTICI

2.5. EMILE BENVENISTE:
       L'UOMO NELLA LINGUA

2.6. ROMAN JAKOBSON:
       LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO
Torna su 2.7. LE FIGURE RETORICHE

2.8. ALGIRDAS JULIEN GREIMAS:
       LA SEMIOTICA NARRATIVA E
       DISCORSIVA

2.9. TEUN VAN DIJK:
       IL TOPIC O
       ARGOMENTO DI DISCORSO

2.10. UMBERTO ECO:
        IL LETTORE MODELLO

2.11. I MODELLI COMUNICATIVI
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